Letizia Myolin Frailich, via A. Saffi, 24 - 20123 Milano. Tel.: 340.56.29.722

Sofferenza psichica


Una riflessione su approccio psicoanalitico e psicodinamico del paziente, 'terapia con la parola', e sul ruolo della MTC rispetto alla sofferenza psichica.


Molto spesso il paziente seduto di fronte a noi va e viene tra il somatico e lo psichico: la mescolanza è già evidente nelle cose che racconta, nel tipo di aspettative, nella richiesta sottostante a tutto ciò.
Muoversi nello spazio del disturbo psichico può allora significare che la malattia è già riconosciuta come 'affettivo-mentale', o che la domanda che pone il paziente riporti a un disagio dello spirito, indipendentemente dai sintomi portati in prima istanza.
E vuol dire innanzitutto sgombrare il campo dalle critiche stereotipe e banali che considerano il sistema biomedico occidentale mera espressione del sistema di causa effetto, di un metodo che esamina separando e sezionando, di una clinica i cui presupposti sono estranei all'interazione medico-paziente. Questi stereotipi considerano peculiare dell'oriente il pensiero di tipo orizzontale-analogico. In realtà in Europa la forma del pensiero medico non si è strutturata da sempre secondo il metodo anatomico-clinico: ancora nel XVlll secolo la malattia si configurava in uno spazio di simpatie, secondo corrispondenze, somiglianze, e omologie. Neppure la continuità tra terapeutiche fisiche e cure psicologiche è esclusivo della medicina cinese: anche la medicina europea, sempre fino al XVIII secolo, parlava di spiriti. Tra i trattamenti troviamo i rimedi che "consolidano gli spiriti per evitarne i movimenti irregolari"; le prescrizioni di amari come una tre le forme di purificazione - atto che si rivolge insieme all'anima e al corpo; i tentativi di "suscitare nel malato un movimento regolare, che rispecchiasse il movimento del mondo, per superare l'agitazione disordinata, l'ingorgo e il ristagno". (Foucault 1973)
D'altra parte, se è vero che la medicina cinese, come molte medicine tradizionali, è psicologica e fisiologica insieme, è anche vero che ai nostri occhi descrizione e sintassi dei sentimenti e delle emozioni vi appaiono piuttosto rudimentali: finezze e profondità sembrano se mai appartenere all'ambito delle pratiche di meditazione, al lavoro sul Qi. La conoscenza di se stessi in effetti avviene non tanto attraverso un'opera di introspezione, bensì nel riconoscimento e nella costruzione di un sé come parte dell'universo.


MTC e psicodinamica
Detto questo, è però vero che personalmente in alcuni casi affianco un trattamento di tipo psicodinamico all'agopuntura tradizionale. E credo che ciò sia possibile innanzituto perché le due prospettive condividono vari elementi di fondo.
Ritrovo per esempio la stessa qualità di cammino. Il Dao, vita corretta, è il seguire, il conoscere la propria natura: come la psicoanalisi, non fornisce indicazioni ma si dispiega come avventura di libertà. Riconosco la stessa ampiezza nel concetto di uomo: nella genesi dell'universo l'io umano risulta essere insieme al Cielo e alla Terra, ai principi yin e yang. Mi accorgo della stessa qualità nello spazio di ascolto: il medico tradizionale ha il "cuore vuoto" e nell'analisi ci si pone senza desideri né ricordi (Bion, 1967).
Anche i riferimenti nel lavoro di guarigione si sovrappongono: sia nell'agopuntura che nella psicoanalisi si lavora su se stessi; malattia e sofferenza non vengono ricondotte all'esterno; le cause del disagio e le soluzioni non vengono cercate altrove. E in entrambe le discipline troviamo l'esigenza che il medico debba passare attraverso una trasformazione interiore: nella tradizione cinese deve coltivare certe virtù, essere in sincronia con il movimento naturale dell'universo, e nell'ambito occidentale l'unica pratica 'istituzionalmente' riconosciuta che si avvicini a questo concetto è l'analisi personale a cui uno psicoanalista deve sottoporsi.
Vorrei ricordare che come nell'agopuntura si tratta di ripristinare lo scorrere del qi, di ricostruire un equilibrio energetico, così sempre di più lo scopo della psicoanalisi clinica è visto non tanto come disvelamento per esempio di eventi traumatici, quanto come ricerca di significati nuovi e ricostruzione di quello che non si è potuto sviluppare nel corso della vita e delle relazioni precedenti.
Diversamente dalla psichiatria, che identifica un ambito organico e uno psicologico tra di loro separati e però tratta entrambi come oggetti fissi da analizzare; nella medicina cinese, e nella psicoanalisi, il sintomo non è statico, ma parla, è un universo. Sappiamo che il disturbo psichico ha equivalenti somatici, che il corpo racconta, ma non in senso positivista, attraverso una corrispondenza stretta e obbligata, bensì nell'ampiezza del rimando, nel concetto di sintomo come metafora. E sintomo non è solo il disturbo portato dal paziente, ma sono tutti i segni che si mostrano.
Nella pratica clinica la medicina cinese offre alcuni elementi preziosi sia nell'osservare il paziente che nel muoverci per modificare la situazione: abbiamo la possibilità di integrare i diversi segni e sintomi in un quadro che produce senso, senza dover separare il somatico dallo psichico, e senza dover presupporre delle priorità in un senso o nell'altro.
D'altra parte bisogna riconoscere che come esiste il rischio di medicalizzare il disagio, il malessere, la fatica del vivere, esiste anche una tendenza a "psicologizzare" i mali che si patiscono. Ci sono allora due elementi da sottolineare: non ogni sofferenza richiede automaticamente terapia, e la psicoterapia non è l'unica risposta alla malattia psichica. Ed esiste un'area molto ampia in cui la medicina farmacologica occidentale ha poco senso, ma anche ipotesi di terapia analitica risultano poco proponibili, o controindicate. Oppure il paziente stesso non le considera come ipotesi valide: per una diversa interpretazione del mondo in termini per esempio politico-sociali, o perché preferisce altre vie per lavorare su di sè e sulla propria salute.


Riflessioni sull'esperienza clinica in MTC
La medicina cinese è una medicina energetica: si lavora sul qi, e questo fatto trasforma il campo di intervento. Anche nella sofferenza specificamente psichica agire su blocchi e ristagni, riequilibrare eccessi e carenze, offre un forte sostegno e può produrre soluzioni. E ciò sia nel caso che si decida di utilizzare esclusivamente la medicina cinese o di affiancarla a un trattamento di tipo psicodinamico con i suoi riferimenti e le sue regole. Dal lavoro di discussione sulla nostra pratica clinica in MTC sono emersi diversi elementi di interesse sia teorico che clinico.
Paolo Bruno ricorda come tra le motivazioni che a suo tempo ci hanno spinto ad avvicinarci alla MTC - e tuttora ci spingono a continuare a praticarla e a studiarla - vi sia stata la ricerca di una visione globale e integrata dell'essere umano, nei suoi aspetti sia somatici che psichici. Ma sottolinea quanto sia stato per noi difficile inquadrare i disturbi psichici a partire dai testi classici cinesi. Ad esempio può risultare sconcertante la descrizione di segni 'di follia' totalmente frammisti ai sintomi 'fisici' nei quadri dei meridiani di Stomaco e Vescica. Un'ipotesi è che il pensiero cinese non abbia mai compiuto quella separazione tra corpo e mente su cui invece, a partire da Socrate, sono fondati i presupposti della cultura occidentale.
Se questa sintesi degli aspetti materiali e psichici nella diagnosi e nella terapia è ben presente nella teoria della MTC, nella pratica, le questioni non sono né facili né lineari. Un esempio sono le difficoltà con cui viviamo nel quotidiano uno dei fondamenti della medicina cinese, la circolarità tra causa ed effetto, tra soggetto ed oggetto, tra terapeuta e paziente. Le rappresentazioni della malattia che elaboriamo e le azioni terapeutiche che costruiamo sono il più delle volte di tipo lineare: a una causa corrisponde un effetto; finiamo per aspettarci in modo deterministico certi risultati, e spesso la relazione medico-paziente è vissuta in termini di soggetto al di là delle nostre buone intenzioni.
Chi di noi, lavora tenendo in particolare considerazione la prospettiva sistemico-relazionale, ha fortemente presente il fatto che il tipo di relazione che lega il soggetto alle persone e alle situazioni per lui importanti, si può costituire come un "esterno" da cui origina la malattia. Senza sottovalutare la debolezza interna del paziente, è di fondamentale importanza il poter valutare quale sistema energetico specifico è bloccato o alterato dalle relazioni, per poter poi agire in maniera coerente. L'intervento segue quindi a un esame eziopatogenetico che è insieme energetico e relazionale.
In altre prospettive si privilegia invece la corrispondenza diretta tra anomalia dell'organo e attività psichica. Come già in tradizioni lontane, quale l'egizia, islamica o galenica, si ponevano relazioni tra parti del corpo e immagini divine, in Adler un sistema organico (la gola e l'ingoiare, il respirare, le ginocchia e la flessione, la pelle) si può costituire come punto di minima resistenza, diventa l'immagine su cui si polarizza la nostra attenzione psichica. L'organo leso ha quindi la nostra attenzione costante, ci parla di noi, diventa una parte per il tutto, rappresentando una miniera inesauribile di materiale, proprio perché l'attenzione lo rende luogo di massima potenzialità. Il luogo di minor resistenza è naturalmente il punto in cui la resistenza si raccoglie in difesa, lì dove si è più sensibili e più esposti. Nell'intervento terapeutico non si tratta di far crollare le difese, quanto di comprendere la necessità di queste manovre.
Ma in questa sede cerchiamo di capire se e quanto l'universo di interpretazione e di intervento dell'agopuntura tradizionale sia consistente al suo interno e autosufficiente. E' nostra comune esperienza che la MTC non debba necessariamente appoggiarsi a altri modelli psicologici: la clinica ci conferma di continuo che disturbi psichici e somatici sono espressione dello stesso squilibrio energetico, cosicché anche sui sintomi più specificamente psichici si riesce molto spesso ad agire attraverso la costruzione di una diagnosi corretta che tenga conto essenzialmente dei sintomi somatici……(seguono alcuni casi di sostegno a questa tesi)…
Questo 'funzionare' della MTC è ormai esperienza comune a tutti noi, a condizione che si riesca a fare diagnosi energetica, mentre i risultati paiono più deludenti se non ci sono segni a cui collegarsi per un inquadramento energetico. E già nel cap.77 del Suwen l'imperatore afferma che quando "il medico non ha nessun elemento a livello di zang, nè vi sono modificazioni nell'aspetto del corpo... la diagnosi è piena di dubbi", allora è necessario porre domande che riguardano le condizioni di vita del paziente, altrimenti si può "solo dire il giorno della morte".
Su alcuni punti credo l'esperienza ci veda tutti concordi: dare sollievo al sintomo significa rompere il circolo vizioso, interrompere il vortice della sofferenza che rischia di autoalimentarsi. Ricostruire un equilibrio energetico permette di usare meglio le risorse di cui si dispone. E modificare l'assetto energetico di un paziente fa sì che il soggetto si percepisca diverso, faccia cioè esperienza concreta della possibilità di sentirsi in un altro modo, e ciò crea l'opportunità di usufruire dell'incontro con il terapeuta, così come degli eventi che la vita propone.


L'incontro medico paziente
Secondo i classici cinesi il medico è un punto di riferimento, neutro, distaccato, una sorta di perno che non si lascia trascinare e permette così al paziente di ritrovarsi, mentre troppo spesso noi, forse per non cadere in una lontananza che ricorda l'indifferenza, ci lasciamo coinvolgere dal paziente, che, con le emozioni che suscita in noi, fa in realtà risuonare le nostre problematiche irrisolte, e ci condiziona quindi nel modo di vederlo e di valutarne i sintomi.
La condizione in cui si trova il terapeuta dovrebbe essere come lo stato del Qi Gong, la serenità del vuoto.
In questo senso si porta l'immagine di quei medici cinesi bravi che abbiamo conosciuto, che hanno sempre lo stesso modo con i pazienti, senza affanno, con tranquillità. La pratica del Qi Gong, - paraginabile al metodo molto neutro della tecnica NADA, in cui il terapeuta non si pone con una forte individualità, non fa diagnosi, è 'un niente'- sono di grande aiuto soprattutto nei confronti dei pazienti con Fuoco di Fegato, rispetto ai quali è così facile 'accendersi' e quindi non arrivare a nulla. Il terapeuta dovrebbe essenzialmente stare bene, avere semplicità e serenità: e talora sarà la persona davanti a noi a dirci che gli diamo questa sensazione di tranquillità, o che lo studio ha questa pace. Anche questo è un modo di lanciare dei semi, che il paziente poi può far crescere.
I classici parlano di "chiudere porte e finestre" (Lingshu cap.9), di creare cioé una condizione di raccoglimento, in cui lo Shen possa muoversi. E in MTC queste modalità valgono in rapporto a qualsiasi quadro clinico, mentre nella nostra cultura l'indicazione di creare un setting, (che altro non è che uno spazio e un tempo differente da quello quotidiano, in cui sia possibile il muoversi insieme in quell'area detta inconscio) è ristretta all'ambito psicodinamico.


Se Li Xiaoming, maestro di Qi Gong, sostiene che nel trattamento delle malattie mentali "l'incontro con lo shen del terapeuta favorisce il rientro dello shen del paziente", nel Suwen, cap.54, troviamo: "Quando siete pronti a mettere gli aghi, siate come colui che tuffa il suo sguardo nel fondo dell'abisso, che la vostra mano sia come quella di colui che tiene una tigre. La fermezza non deve mancare, niente deve turbare lo shen. La volontà calma, considerate il paziente senza girare lo sguardo a destra o a sinistra, il movimento quando si mette l'ago non deve essere deviato perché la vostra dirittura inciterà la rettificazione. Prima di tutto rettificate il vostro shen perché è lo sguardo che ponete sul paziente che chiama la regolazione dello shen del paziente."
Con questo non vorremmo cadere nell'equivoco di pensare che "l'atteggiamento" sia tutto: se mai l'aspetto dello psichismo allarga ulteriormente la complessità rispetto all'analisi energetica e alla scelta terapeutica. Accumuliamo quindi informazioni, pratica nell'attenzione, capacità diagnostiche, conoscenze sulla scelta dei punti, abilità nel manovrare lo strumento-ago con cui interveniamo, e così a volte l'arco, la freccia e il bersaglio diventano un insieme reale.

Articolo comparso sul "MediCina", Autunno 1994. Autore Elisa Rossi


Elisa Rossi


Laureata in Filosofia e in Medicina e Chirurgia, specializzazione in Psicologia Clinica, iscritta all’Albo Italiano Psicoterapeuti.
Nel 1983 ha conseguito il Certificato del "Training course of TCM" di tre mesi a Pechino, dopo il corso triennale di agopuntura presso "So-wen, centro studi di agopuntura tradizionale cinese".
Da allora è tornata in Cina 8 volte per periodi di aggiornamento clinico di uno-due mesi presso ospedali di Pechino, Nanchino, Shanghai, Jinan.
Nel 1985 inizia a praticare Taijiquan con Ermanno Cozzi, nel 1989 Qigong con Li Xiaoming e nel 1992 studia per due mesi a Pechino con il dr.Lu Guangyun, direttore del dipartimento di Qigong del Xiyuan Hospital.
Nel 1994 fonda con un gruppo di 9 agopuntori l'Associazione “MediCina”, Scuola di Medicina Tradizionale Cinese. Dal 1996 è docente FISA.
Dal 2002 al 2007 è Presidente della Federazione Italiana Scuole Tuina e Qigong (FISTQ), di cui in seguito è Coordinatore Scientifico.
Dal 2006 è membro della “Commissione di Medicina non Convenzionale" dell'Ordine dei Medici di Milano.

Chi sono

Trenta anni in cui ho potuto amalgamare la passione con la professione passando attraverso esperienze apparentemente molto diverse ma legate tra loro da un filo irresistibile: la capacità insita in ciascuno di noi di rinnovarsi e trasformarsi.

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