L'autore
Cyrille J.-D. Javary è nato a Parigi, dove vive, nel 1947. È scrittore e conferenziere, ma soprattutto appassionato della cultura cinese antica e moderna.
All’origine di questa passione c’è un libro : l’Yi Jing o « Classico (Jing) dei Mutamenti (Yi) », il grande libro dello yin e dello yang che da venticinque secoli è alla base del pensiero cinese.
Dopo aver letto tutti i libri esistenti in inglese e in francese relativi all’argomento, decide d’imparare il cinese all’università col Professor Kyril Ryjik e di trasferirsi a Taiwan nel 1979 dove rimane sino al 1981.
Dal 1985 effettua regolarmente viaggi culturali in Cina continentale dove è stato più di 50 volte. Nello stesso tempo crea il Centre Djohi, una struttura il cui obiettivo è quello di sviluppare la conoscenza e l’uso del Classico dei Mutamenti.
Dal 1994 partecipa al lavoro del gruppo ’Lotus Bleu’ istituito dall’Università di Lingue Orientali di Parigi (INALCO) allo scopo di formare gli uomini d’affari alle trattative e alla collaborazione con i partner asiatici. Per questa ragione ha inventato un gioco per imparare in maniera ludica la mentalità cinese : la Grande Marelle du Yin/Yang che ha usato in particolare presso alcune grandi aziende multinazionali : Banque de France, Peugeot, Louis Vuitton, L’Oréal, E.d.F., Guerlain, Usinor, ecc...
Cyrille Javary tiene corsi, seminari e conferenze a Parigi, in tutta la Francia e in vari paesi europei.
Trascrizione a cura di Elisa Rossi
Yijing: Per sapere cosa i cinesi vogliono dire con una parola bisogna sapere come si scrive.
Yi jing sono due parole: il primo carattere - yi - significa “cambiamento”, vedi ideogramma.
Nell’ideogramma antico nella parte superiore c’è il sole, nella parte inferiore la pioggia, cioè il cambiamento del tempo, passaggio dal sole alla pioggia e dalla pioggia al sole. Basta lasciare tempo al tempo e si passa dal sole alla pioggia.
Un altro significato di yi è “legge fissa”: per noi è strano che ‘cambiamento’ e ‘legge fissa’ si dicano nello stesso modo. Deriva dal fatto che la sola cosa che non cambia mai è che tutto cambia sempre, il cambiamento è la sola base solida e fissa su cui si può costruire una strategia efficiente.
Il sole e la pioggia: cioè qualcosa che sale e che è caldo e qualcosa che è freddo e scende, e già si comincia a pensare a yin e yang.
E questa è un’altra caratteristica del modo di pensare cinese, se noi avessimo dovuto scrivere una parola con due parti così avremmo scelto delle parole più chic, per esempio acqua e fuoco, che però in cinese significa disastro. L’acqua corrisponde a inondazione – pericolo costante in Cina, e fuoco a incendio - altro disastro perché le case erano di legno. Inoltre acqua e fuoco hanno qualcosa di troppo teorico, mentre pioggia e sole sono concreti: sono tutto ciò di cui il contadino ha bisogno, per il resto ci pensa lui con il suo lavoro. Si dice che il brutto tempo è quello che non cambia mai. Se i cinesi hanno scelto di riflettere sul cambiamento è per delle ragioni pratiche, non teoriche come i nostri filosofi.
Un altro vantaggio di questa scelta è che il sole e la pioggia sono comunque lì. Siccome si pensa che Yijing sia un libro di divinazione, e a volte mi dicono ‘ci crede all’Yijing?’ io rispondo ‘e lei ci crede al sole e alla pioggia?’ Sole e pioggia sono comunque lì e sta a noi trovare il modo di adattarci.
Il secondo carattere – jing – è composto da tre parti. A sinistra c’è il filo di seta, che fa parte di tutte le parole in cui si parla di tessitura o di ‘rete’. A destra in alto ci sono delle linee parallele che indicano un flusso, una corrente, e stanno sotto una linea orizzontale per mostrare che è una corrente sotterranea e invisibile; a destra in basso c’è uno strumento che serve a compattare la terra, che è diventato il simbolo stesso dell’attrezzo.
Possiamo dire che jing corrisponde a “strumento che permette di agire sulle correnti sotterranee organizzate in rete”.
Jing ha diversi significati. Il primo è l’ordito, i fili paralleli e verticali di un tessuto, attraverso i quali passa la spola che disegnerà i disegni, per cui i fili dell’ordito scompaiono alla vista, ma costituiscono la base.
Significa anche i meridiani dell’agopuntura, cioè un insieme di linee invisibili su cui si costruisce la struttura di un individuo. Anche i meridiani sulla terra, invisibili, e segnano il passaggio del tempo.
E infine jing significa anche libro classico, cioè la struttura invisibile di una civiltà.
Se tutto cambia sempre, in continuazione, come troviamo i punti di riferimento in questo cambiamento? I cinesi hanno inventato dei cartelli stradali interessanti. Nell’ideogramma yi c’è il sole in alto perché tende a salire e la pioggia in basso perché tende in basso. Cioè i cartelli segnano la tendenza.
Vediamo gli ideogrammi yin e yang. La parte sinistra è comune ai due, è la collina rituale su cui si facevano i sacrifici, cioè i due ideogrammi hanno una parte in comune, non sono due realtà separate.
Parte della montagna esposta a nord e parte esposta a sud sono i significati più antichi degli ideogrammi.
Non è possibile avere un lato nord senza un lato sud, e qualsiasi sia la dimensione della montagna c’è un lato nord e un lato sud, e anche in un sasso, e anche se questo sasso viene tagliato in due.
La parte destra differenzia yin e yang. In yang nella parte destra c’è il sole. In yin nella parte destra sopra c’è ‘adesso’, cioè che l’azione sta avvenendo ora, e sotto ‘nuvole’, cioè: ‘in questo momento il cielo si sta coprendo di nuvole’. In yang il sole si separa dalla pioggia e fa sempre più caldo, è la descrizione dinamica della fine di una tempesta. In yin il cielo si sta coprendo, andiamo verso la pioggia.
Si descrive il passaggio e la strategia più giusta in questo passaggio. Se il cielo si apre possiamo uscire a fare una passeggiata, se il cielo si copre è meglio andare a casa a bere un tè.
Yin e yang non sono delle qualità, sono dei movimenti. Possiamo riassumere yin yang con una frase celebre dell’Yijing: “una volta yin una volta yang, è così che funziona”.
Nella scrittura i cinesi hanno inventato delle rappresentazioni astratte di yin e yang.
In occidente siamo abituati a pensare con immagini astratte, mentre i cinesi sono abituati a pensare per immagini naturali, ma in questo caso sono arrivati a un’astrazione (Yin: disegno doppio, rapporto con il ritmo, la ripetizione, il tempo.
Yang: un tratto con un solo movimento, azione unica, concentrazione di forze).
Soltanto guardando i tratti possiamo cominciare a dire che yin corrisponde a difesa, cioè diluire le forze nel tempo, mentre yang corrisponde a attacco, cioè concentrazione di forze in un punto.
Ai cinesi piacciono i numeri. Siccome hanno una concezione ritmica della vita, i numeri li aiutano a trovare dei punti di riferimento a questi ritmi, allora yin corrisponde a 2 e a tutti i numeri pari e yang al numero 3 e i dispari.
Perché non al numero 1? Il difetto di 1 è che descrive l’inizio. La ricerca delle origini è una malattia dello spirito, malattia che gli indoeuropei hanno da tanto tempo. In Cina la parola Dio-creatore non esiste. All’inizio c’era l’impulso. Quindi l’1 si lascia da parte.
Si inizia dallo yin. Ogni cosa comincia sempre con un tempo yin, è un detto cinese. Questo vuol dire che non possiamo dire mai quando qualcosa è cominciato. Per esempio questo intervento in questo congresso, certo c’è la data in cui inizia, ma questa è la parte yang, visibile, esterna. Ma è iniziato in realtà con una ben precedente organizzazione, o con l’incontro di Javary e Elisa a Milano, o ancora prima nel loro essere entrambi nell’83 a Pechino.
L’anno nuovo è chiamato dai cinesi ‘festa della primavera’, mentre per noi la primavera inizia il 21 marzo, periodo che è invece verso la fine: corrisponde all’apertura del bocciolo, all’esplosione, all’inizio della parte yang, visibile, della primavera. Che è preceduta da una parte yin, che però non si sa quando è cominciata, perché è avvenuto sotto terra. Esempio: ideogramma ‘legno’, la forma antica mostra un tronco, rami e radici. Per noi invece in genere il disegno di un albero non mostra le radici, mentre nell’ideogramma ci sono.
Nell’ideogramma di ‘erba’ non ci sono radici, perché l’erba cresce solo in primavera e estate, mentre gli alberi crescono tutto l’anno, in estate vanno verso l’alto e nell’inverno vanno verso il basso, durante l’inverno l’energia si accumula nella terra. C’è un momento in cui questo movimento si inverte e l’energia comincia a montare verso i rami, questo momento è l’inizio della primavera. Quando si arriva in alto è la parte yang della primavera, quella che conosciamo tutti; e dato che questo cambiamento avviene dentro alla terra non si può sapere quando avviene esattamente, solo il periodo. Infatti la ‘festa della primavera’ è mobile, mai prima del 7 gennaio e mai dopo il 15 febbraio.
Poi c’è la festa della luna piena d’autunno.
Associare il numero 3 allo yang ci dà un’immagine molto interessante: yin e yang non sono opposti, ma variazioni, e – osservando il disegno della linea yin e di quella yang – si nota che la variazione avviene su un terzo soltanto, quando è vuoto è uno yin, quando è pieno è uno yang.
Traduzioni come uomo e donna sono pessime, uomo e donna sono le caratteristiche più fisse sulle terra, tranne poche eccezioni si nasce uomo e si muore uomo, idem donna.
Più interessante ancora: yin e yang non sono uguali.
Il disegno del dao, con yin e yang che nascono uno dall’altro, il taijitu, compare nel 12° secolo. Ci piace molto, è molto greco, è geometrico, piace alla nostra logica, ma ha il difetto di farci credere che yin e yang siano equivalenti.
La linea curva ci dice che lo yin è sempre lì e lo yang è quando succede qualcosa che ce lo fa dimenticare. Lo yin riguarda la struttura, lo yang il cambiamento e il movimento, ma non ci può essere movimento se non c’è struttura. L’ho capito da mia figlia a sette anni mi chiede ‘dove vanno le stelle di giorno’ le stelle sono sempre lì ma il sole impedisce di vederle.
Nel taijichuan prima dell’apertura c’è l’immobilità, la coscienza dei piedi e del suolo, cioè le radici dell’albero, i due punti di appoggio dello yin, poi facciamo dei movimenti, i piedi continuano a toccare il suolo, ma lo yang ci fa dimenticare lo yin.
Il segno dell’albero, per via di ciò che rappresenta, è stato scelto per dare il nome all’energia della primavera. Quando si dice ‘legno’ e non ‘albero’ si pensa con il modo greco e non cinese.
La linea yin rappresenta una forza centripeta, dobbiamo immaginarla come animato, e il movimento fa sì che i due bordi dei tratti si avvicinano, i due pezzi si avvicinano, diventano continui, cioè una linea yang. Quindi compare una forza centrifuga, che stira la linea, e si forma un buco, che diventa sempre più grande, cioè si apre e si forma linea yin, che comincerà a avvicinarsi, e così via.
C’è una preparazione lenta nell’avvicinarsi e nell’allontanarsi, e poi c’è un passaggio che avviene di colpo. Ciò avviene in tutti gli eventi biologici, e psicologici. Esempio se una coppia si separa, avviene di colpo, ma è da tanto che non vanno d’accordo.
I cinesi hanno costruito un catalogo di 64 situazioni-tipo, che hanno il vantaggio di rappresentare le situazioni come yin yang e ci danno delle informazioni sulla dinamica che le muove. Se c’è uno yin che rimane yin o se siamo subito prima di un cambiamento. Nei due casi ovviamente non si usa la stessa strategia.
Se c’è una situazione yang che resta yang è come guidare su autostrada, se invece c’è una curva stretta bisogna fare più attenzione, cioè nei momenti in cui si cambia ci vuole una strategia particolare.
Nel 1500 a.c. circa, età del bronzo, i sovrani erano molto rispettosi verso gli antenati e prima di prendere una decisione importante chiedevano agli antenati se la decisione che stavano prendere era buona. Si sono resi conto che non erano gli antenati che decidevano, ma il momento.
I cinesi erano contadini, cioè una civiltà di un popolo sedentario, è il solo popolo al mondo che abita da sempre il territorio che abita ora. Quando coltivate lo stesso terreno da diecimila anni non avete lo stesso sguardo che avete da nomadi. Tutte le civiltà in Asia e Europa sono nate da migrazioni. Il nomade, su terra e mare, cerca i punti di riferimento nel cielo, per questo civiltà indiane o greche mettono gli dei – o le idee di Platone – nel cielo. Il cinese quando guarda il cielo vede il sole o la pioggia, e sa che non basta avere buone sementi e tanto lavoro, ma bisogna seminare al momento giusto. Quindi non valeva la pena chiedere agli antenati il loro parere, ma chiedere all’universo se era il momento giusto.
Ecco perché si chiede a un piccolo animale che ha la forma dell’universo e che come l’universo è un essere vivente, ha il carapace superiore rotondo come il cielo ossia il tempo e il plastrone inferiore quadrato come la terra, lo spazio. La tartaruga. Ha la forma dell’universo e anche la qualità fondamentale dell’universo, cioè la lunga vita.
Facevano dei buchi nel carapace, con un bastoncino metallico rovente, quindi si formavano fenditure dal lato opposto del carapace, e secondo la loro forma ne derivavano le risposte.
Un problema dei contadini è quando è il momento giusto per tagliare il grano, se aspettiamo qualche giorno di sole i semi saranno più grossi, ma se viene la pioggia il raccolto è perduto.
Il guscio della tartaruga è come gli zoccoli dei cavalli, è molto sensibile alla differenza di umidità, forma delle fenditure diverse se si va verso l’umido o il secco. Non è una cosa magica.
E i cinesi conservavano i gusci per verificare se gli eventi corrispondevano alle risposte. E per archiviare meglio incidevano dei piccoli segni sui bordi del carapace, tipo: nel giorno tale la tale persona ha chiesto questo e ha avuto questa risposta. Questi segni sono i primi ideogrammi cinesi.
Il cinese scritto non ha punti interrogativi, e la domanda è posta come alternativa ‘hai dormito non dormito bene?’ Inoltre non esistono le parole ‘sì’ e ‘no’.
Sono più di duecentomila gusci ritrovati negli scavi e si calcola che siano solo il 10%, da cui capiamo l’importanza di questa pratica.
Ad un certo punto non si trovavano più tartarughe d’acqua dolce. Quindi decisero di copiare tutti i segni e le frasi su qualcosa di più agevole, ma sono troppi, quindi scelsero di riorganizzare questo immenso materiale in un insieme di 64 capitoli, e di copiarlo sul bambù, dato che non avevano ancora la carta. Sono libri formati da rotoli fatti di bacchette, per questo si scriveva in colonna.
Il testo canonico dell’Yijing ha poco più di 4000 caratteri, come una pagina di un quotidiano. E ci sono migliaia di libri censiti dalla biblioteca imperiale che sono commenti del testo originale.
La data del testo originale è intorno alla nascita di Cristo.
L’ Yijing è un piano del mondo secondo la dinamica yin yang e allo stesso tempo un manuale per prendere decisioni. Quando non si riesce a prendere una decisione è perché non si sa bene come è la situazione. Quindi l’Yijing ci aiuta a trovare la strategia.
Esempio: un uomo e una donna, si amano, va tutto bene, poi un giorno bisticciano, è l’autunno del loro amore oppure è un giorno di pioggia primaverile? L’Yijing ci aiuta a capire se è uno o l’altro.
Oppure nelle 64 situazioni-tipo: una è ‘accogliere lo yin’, e il testo ci dice come fare, e parla del mese di luglio, che pare strano perché è estate, fa caldo, certo, esteriormente è così, ma dal 21 giugno i giorni si accorciano, e se non ne teniamo conto, l’inverno ci prenderà di sorpresa, possiamo invece riparare il tetto della casa perché a novembre sarà troppo tardi. L’Yijing ci aiuta a prendere la decisione che più sta in rapporto con la dinamica del momento.
Tutti i funzionari per passare il concorso dovevano conoscere a memoria tutto il testo, perché dovevano prendere decisioni.
Sul caso.
Per noi una risposta che viene dal caso, dalla casualità, corrisponde a una dismissione della ragione.
Quando i greci avevano un problema che non poteva essere risolto con la dialettica oppure con la discussione nell’agorà, mettevano pietre bianche e nere e poi estraevano la risposta. Per noi il caso non è chic né razionale.
I cinesi la pensano diversamente. E’ un’idea di Confucio. Si racconta che Confucio vede un uccello che fa tre giri e poi si posa, dice ‘se l’essere umano potesse essere altrettanto saggio come un uccellino!’. Cioè: l’uccello può volare e quindi può posarsi dove vuole, e quindi si posa sempre dove deve. Per noi si posa a caso, mentre per i cinesi si posa nel luogo dove sta nella relazione più perfetta rispetto al luogo.
Se entriamo in un cinema vuoto ci sediamo nel posto che preferiamo, secondo come ci vediamo, o vicino al calorifero se abbiamo freddo, o in fondo se siamo in due e il film non ci interessa tanto. Dalla cabina di proiezione pare che lo spettatore si sieda a caso, così non è.
Nel dizionario vediamo che i due termini che dall’italiano in cinese traducono ‘caso’, cioè pang e ou, significano dal cinese all’italiano ‘paio, abbinamento, accoppiamento, mettere in relazione, eco’, e solo alla fine ‘caso’. Come se si trattasse di un concetto estraneo, che deriva dai rapporti con l’occidente. Cioè quello che noi chiamiamo caso è quello che nasce in rapporto con niente perché non abbiamo la possibilità di analizzarlo in una relazione di causalità. Mentre per i cinesi ciò che noi chiamiamo caso è ciò che mette in rapporto tutti gli elementi di una situazione, è la forma che prende il dao quando gli si lascia libero corso.
E’ l’azione morale per eccellenza. E’ uscito il n.64, non a caso, ma obbligato, da un abbinamento con chi domanda.
Se vogliamo paragonare con qualcosa del nostro mondo non bisogna parlare della sfera di cristallo, ma del sestante, strumento semplice e intelligente, che permette a chi non ha riferimenti di sapere dov’è, e una volta che ha informazioni sulla posizione va a consultare le carte dei 64 mari del mondo, con le correnti, le secche, i porti. E una volta che ha queste informazioni sceglie la strada che corrisponde al punto in cui vuole arrivare.
Il caso non è una dismissione della dignità umana, è invece un capolavoro dell’intelligenza umana, che ci permette di essere ancora più padroni del nostro destino, che ci permette di scegliere con cognizione di causa, se no sceglieremmo appunto a caso.
Brani dell’intervento al Convegno FISTQ - Palermo, 8.10.2006